

La cucina romana: un viaggio nei sapori della tradizione
La cucina romana è un vero e proprio tuffo nella storia, una fusione di influenze secolari che racconta l’anima della Città Eterna attraverso piatti semplici ma straordinariamente ricchi di sapore. Dalle sontuose cene dell’antica Roma alle osterie di Trastevere, ogni ricetta custodisce un frammento di cultura e rappresenta una testimonianza della filosofia del "non si butta via niente".
Le origini: dall’antica Roma alle osterie popolari
Fin dall’epoca imperiale, Roma è stata un crocevia di popoli e culture e la sua gastronomia ne è il riflesso. Gli antichi romani erano abituati a tre pasti principali: la colazione o "ientaculum", consumata al mattino presto, spesso a base di pane, formaggi e frutta; il "prandium", un pranzo leggero con legumi, carne o pesce; e la maestosa cena, il pasto principale, caratterizzata da fastosi banchetti, che poteva durare ore e si consumava sdraiati su un fianco nel “triclinium”, la sala da pranzo delle domus dell’aristocrazia romana. Durante i banchetti, per mangiare, si usavano prevalentemente le mani e il cucchiaio, mentre l’utilizzo del coltello era un compito che spettava alla servitù. Tra le prelibatezze più amate dai commensali vi erano: insaccati, selvaggina, polenta di farro ("puls") e il famigerato "garum", una salsa a base di interiora di pesce fermentate. Altro aneddoto interessante da ricordare è che a queste opulente cene, il vino, spesso mescolato con miele e spezie, non mancava mai.
Con il crollo dell’Impero e l’avvento del Cristianesimo, la cucina romana subì profonde trasformazioni, pur conservando il suo carattere schietto e rustico. Un momento di svolta arrivò alla fine del ‘400 con l’arrivo degli ebrei, i quali contribuirono con le loro tradizioni gastronomiche ad arricchire la cucina locale: fu proprio in questo periodo che nacquero piatti iconici come i carciofi alla giudia, che ancora oggi rappresentano un simbolo della cucina tradizionale romana. Un altro grande momento di cambiamento avvenne nel 1891 con l’apertura di un centro di macellazione e distribuzione della carne, il Mattatoio di Testaccio: qui si diffuse la tradizione del "quinto quarto".
Il quinto quarto si riferisce alle parti meno nobili degli animali macellati, come trippa, coda e animelle, che gli operai ricevevano come parte del salario e che, successivamente, rivendevano alle osterie. Da questa usanza nacquero piatti diventati oggi simboli della cucina romana, come la coda alla vaccinara e la trippa alla romana.
Il quinto quarto e la filosofia della cucina povera
La cucina romana è un esempio perfetto di cucina povera, nata dalla necessità di sfruttare ogni parte dell’animale e di valorizzare ingredienti semplici. Il "quinto quarto" è il simbolo proprio di questa filosofia: le interiora di bovini e ovini, considerate scarti dalle classi più abbienti, venivano trasformate in piatti saporiti e nutrienti.
La cucina romana non è solo carne, innumerevoli sono le ricette che vedono come protagonisti verdure e legumi. Piatti come la pasta e ceci o la vignarola – uno stufato di fave, piselli e carciofi – raccontano l’importanza degli ortaggi nella tradizione locale. Il tutto viene poi condito con olio extravergine d’oliva, che non manca mai, e insaporito da erbe aromatiche come mentuccia e rosmarino.
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I piatti simbolo della cucina romana
La tradizione culinaria romana è ricca di piatti iconici che ancora oggi dominano le tavole delle trattorie.
Tra i primi piatti spiccano la cacio e pepe, nata dai pastori laziali che portavano con sé pasta, pecorino e pepe durante la transumanza. La carbonara, la cui origine è ancora dibattuta, in quanto c’è chi la attribuisce ai boscaioli appenninici, e chi ai soldati americani della Seconda Guerra Mondiale. Non si può dimenticare l’amatriciana, che affonda le sue radici nei pascoli di Amatrice e che, con il suo sugo di pomodoro e guanciale croccante, è un inno alla semplicità.
Nel lungo elenco di secondi piatti, tra i più iconici troviamo sicuramente i saltimbocca alla romana, citati persino da Pellegrino Artusi nel suo celebre trattato, che sono un capolavoro di delicatezza: fettine di vitello, prosciutto e salvia, saltate in padella con vino bianco. Per chi, invece, ama i sapori decisi, la trippa alla romana, cotta con pomodoro e mentuccia, e poi servita con il pecorino, è quello che si può definire una vera e propria esplosione di gusto. Le lumache alla romana, legate alla festa di San Giovanni, hanno invece un’origine propiziatoria: mangiarle significava scacciare il male.
Ultime ma sicuramente non per importanza, le ricette nate dal "quinto quarto", che meritano un capitolo a parte: la coda alla vaccinara, cucinata a lungo con sedano e pomodoro fino a renderla tenerissima; e le animelle dorate, impanate e fritte per un risultato croccante fuori e morbido dentro.
La tradizione dolciaria
Anche ai dolci è riservato un posto d’onore nella gastronomia romana. Il maritozzo, un soffice panino dolce e ripieno di panna, deve il suo nome a una curiosa usanza: un tempo i fidanzati lo regalavano alle future spose, spesso nascondendo al suo interno l’anello.
Un'eredità gastronomica senza tempo
Ancora oggi la cucina romana continua a essere un pilastro della tradizione gastronomica italiana, celebrata tanto nelle trattorie quanto nelle case dei romani. Questa cucina ha saputo trasformare ingredienti umili in piatti straordinari, tramandando sapori autentici e una filosofia culinaria che esalta la convivialità, la semplicità e il rispetto per il cibo. Che si tratti di una carbonara fumante o di un piatto di coda alla vaccinara, ogni boccone racconta una storia millenaria, fatta di sapori intensi e tradizioni intramontabili.